La forma dell’acqua (e della luce)
L’acqua, a sentire Guillermo del Toro, “prende la forma di tutto ciò che la contiene in quel momento e, anche se delicata, resta la forza più potente e malleabile dell’universo.” La stessa cosa può dirsi della luce: a seconda di dove piove acquista forme diverse che diventano immagini. Un film prende la forma di ciò che gli si immerge dentro, si materializza e si fa narrazione. Tutto chiaro se in questo processo a catena non ci fosse il terzo decisivo passaggio: dallo schermo allo spettatore. È qui, in quel vasto contenitore che si chiama fantasia, che confluisce la grandinata di luci e immagini, suoni e colori che il cinema scarica su di noi. Una pioggia che può trasformarsi in benefica linfa di distensione condivisa e incanalata nella giusta direzione, oppure in tempesta di critiche, discussioni, pareri discordi.
Per esempio: che genere di film è il poliedrico La forma dell’acqua, “Leone d’oro” a Venezia 2107 e meritevole di ben 13 candidature agli Oscar 2018? Cavarsela con una sola risposta potrebbe voler dire presunzione e mancanza di rispetto per chi ha visto altro. Meglio indicare diverse strade, lasciando a chi legge la libertà di seguire quella che ritiene più convincente.
Una fiaba. Meglio: un misto di fiabe dove trovano posto una Cenerentola dei giorni nostri addetta alle pulizie che sogna di ballare con il suo principe azzurro, la Sirenetta e il principe a ruoli invertiti, la Bella e la Bestia. Con l’immancabile vissero felici e contenti in un regno senza soprusi e sofferenze.
Un mito. Attualizzato, ma sempre mito. La protagonista si chiama Elisa, ma è Euridice che, guarda caso, vive sopra il cinema Orpheum dove è in programmazione un film che incanta la creatura venuta dal mare.
Un omaggio al cinema. Con citazioni più o meno esplicite che vanno da Il mostro della laguna nera (1954) di Jack Arnold ai vari King Kong di Cooper e
Schoedsack (1933), John Guillermin (1976) e Peter Jackson (2005); da E.T. l’extra-terrestre (1982) di Steven Spielberg a Balla con me (1940) di Norman Taurog; da La storia di Ruth (1960) di Henry Koster a Il favoloso mondo di Amelie (2001) di Jean-Pierre Jeunet.
Una parabola sulla tolleranza verso i diversi, siano essi mostruose creature prelevate nelle acque del Sud America, diversamente abili, omosessuali, vittime di odio razziale e di classe.
Un fantasy politico ambientato in un laboratorio scientifico di Baltimora negli anni Sessanta, nel pieno della guerra fredda, quando USA e URSS, mirando a un primato nello spazio, cercavano risorse sulle quali compiere pericolosi esperimenti, infiltravano spie, uccidevano senza scrupoli. Con il rassicurante finale del trionfo dei buoni che solidarizzano tra di loro e sconfiggono i potenti.
Un noir che, sulla scia de La spina del diavolo (2001) e de Il labirinto del fauno (2006), completa la trilogia di film fantastici del regista messicano.
Una storia d’amore, infine. “Un amore – come ha pubblicamente dichiarato del Toro – che resta sempre se stesso dovunque sia rivolto: verso un uomo, una donna o una creatura. […] Un amore messo a confronto con qualcosa di banale e malvagio come l’odio tra le nazioni. […] Un amore incredibilmente potente da non richiedere parole.” Da qui la scelta della lingua dei segni come mezzo di comunicazione che abbatte le barriere linguistiche.
Si è detto tutto? No di certo, perché non si è parlato della vicenda, non si sono espressi giudizi sulle interpretazioni degli attori ( l’Elisa di Sally Hawkins, l’amico omosessuale di Richard Jenkins, il cattivo agente governativo di Michael Shannon, lo scienziato di Michael Stuhlbarg, l’amica afroamericana di Octavia Spencer e la mostruosa creatura di Doug Jones) e, soprattutto, perché non ci si è soffermati sulle 4 statuette (miglior film, regia, scenografia e colonna sonora) portate a casa. Non è stata distrazione, ma intenzionale silenzio perché si è del parere che non si può e non si deve scrivere tutto: certe immagini bisogna formarle e viverle in prima persona per apprezzarle del tutto. Ecco: ci risiamo. La forma dell’immagine come quella dell’acqua.
La forma dell’acqua (Titolo originale: The Shape of Water)
Regia: Guillermo del Toro
Con: Sally Hawkins, Richard Jenkins, Michael Shannon, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer, Doug Jones.
USA, 2017
Durata: 123’
Italo Spada
(italospada@alice.it)