L’Archivio storico comunale di Palermo
L’Archivio storico comunale di Palermo
L’Archivio comunale in San Nicolò da Tolentino
L’Archivio comunale in San Nicolò da Tolentino
Pochi comuni, non solo in Italia, ma anche in Europa, custodiscono la propria documentazione in un “contenitore” eccezionale come l’ex convento di san Nicolò da Tolentino.
L’archivio storico del Comune di Palermo nasce, come Istituto di conservazione,
nel 1866.
In precedenza, e fino al 1463, anno di edificazione del Palazzo del Municipio, la documentazione prodotta dagli organi municipali fu concentrata in alcuni vani dello stesso Palazzo. Accresciutasi la mole delle carte, fu necessario trovare più ampi spazi dove conservarla.
Venne individuata come sede adeguata l’ex convento di San Nicolò da Tolentino, i cui locali furono incamerati dal Comune nel 1866, in forza della legge sulla soppressione delle corporazioni religiose.
Trovata la sede, fu bandito il pubblico concorso per scegliere il Direttore dell’Archivio.
Risultò vincitore il giovanissimo (appena ventunenne) Fedele Pollaci Nuccio, esperto in paleografia greca e latina, diplomatica e archivistica, che riordinò le carte e le distinse in due grandi sezioni: “Ufficio diplomatico” e “Ufficio amministrativo”, ancora oggi a base dell’attuale ordinamento archivistico.
Ma ben presto lo spazio diventò insufficiente a contenere la documentazione che si andava fisiologicamente accrescendo di giorno in giorno, tanto che il Direttore, in una articolata relazione al Sindaco, sottolineò la necessità di un ampliamento.
Il suo appello non cadde nel vuoto: l’Aula Grande – che qualche anno fa l’Amministrazione comunale ha voluto intitolare ufficialmente al suo progettista, Giuseppe Damiani Almeyda – nacque proprio come ampliamento dei locali di deposito preesistenti, per risolvere i problemi logistici causati dalla mole eccessiva delle serie archivistiche conservate.
L’Aula Grande
Nel gennaio 1880 il Damiani ebbe l’incarico della redazione del progetto definitivo e della direzione dei lavori.
La nuova grande Sala sarà inaugurata nel 1883.
La Sala Damiani Almeyda (Foto Rubicondo)A distanza di più di un secolo dalla sua costruzione, bisogna dare atto al Damiani di avere saputo interpretare attraverso la spazialità e la monumentalità della Sala, l’uso sapiente della luce e dell’ombra, il senso profondo di un luogo scrigno della memoria della Città.
Particolarmente felice appare la scelta di un sito cosi ricco di storia come quello del complesso monumentale del san Nicolò da Tolentino dove, prima della costruzione della Chiesa dei Padri Agostiniani, esisteva la Sinagoga, cuore del quartiere ebraico di Palermo, a sua volta sorta su di una preesistente moschea araba.
Senza dubbio il Damiani conosceva bene la storia del luogo e forse raccolse delle suggestioni per il suo tempio laico della memoria cittadina. Qualche studioso ha ipotizzato un legame analogico con la Sinagoga che nasce originariamente come luogo destinato alle riunioni e all’insegnamento.
Forse per tale continuità simbolico-rituale il Damiani ripropone la pianta quadrata della Sinagona, con le stesse misure (21 metri per lato che corrispondono ai 40 cubiti di cui scrive Ovadiah da Bertinoro nel 1487), le dodici aperture, tre per lato, secondo una ben precisa scansione; o lo stesso orientamento ad est dell’ingresso, quasi l’Archivio fosse “una sinagoga trasposta”.
L’assoluto rispetto della sacralità del luogo si coniuga con le esigenze funzionali in relazione alla destinazione d’uso: l’Aula Grande è l’unica sala di deposito realizzata in Italia nell’Ottocento che ha tutte le caratteristiche di una vera e propria “macchina per la conservazione”: scaffalature a tutta altezza, ballatoi percorribili muniti di leggii, argani e cestelli per potere prelevare e ricollocare rapidamente i volumi, climatizzazione naturale ottenuta grazie alla camera di deumidificazione sottostante e al continuo ricambio dell’aria attraverso le aperture rotonde sul pavimento, chiuse con grate.
Lettera autografa di Giuseppe Garibaldi I documenti
Lettera autografa di Giuseppe GaribaldiOggi l’Archivio conserva, in circa settemila metri lineari di scaffalature, la documentazione originale prodotta dagli organi dell’Amministrazione cittadina in sette secoli di storia, dalla fine del Duecento alla metà del Novecento.
Fra le serie archivistiche più importanti citiamo i Consigli civici e le Deliberazioni decurionali (1446-1860); Atti, Bandi e Proviste (1311-1550); Atti del Senato (1551-1860); Cerimoniali del Senato (1568-1802) il Libro universale del Patrimonio (1607-1800); l’Archivio dell’Acqua (1659-1842).
Particolare menzione va fatta, infine del registro di gabelle regie di epoca angioina (1274) e del protocollo del notaio Adamo de Citella (1298-99), nonché del fondo Ricordi patrii, raccolta di cimeli risorgimentali, tra i quali lettere autografe di Garibaldi, Umberto I e Crispi.
Nel Tabulario sono raccolte le pergamene dei privilegi della città. Sono circa una settantina quelle sopravvissute all’incendio che le distrusse, mentre ancora erano conservate nel Palazzo di Città, in occasione della rivolta popolare del Sette e mezzo (1866).
Molto consultato, soprattutto da ingegneri e architetti, è il fondo Lavori pubblici.
Importante per la ricostruzione della storia urbanistica cittadina, ha estremi cronologici che vanno dall’Unità d’Italia alla metà del Novecento.
Accanto alla documentazione prettamente storico-archivistica, costituita per la quasi totalità da atti e provvedimenti amministrativi, l’Archivio conserva anche dei fondi fotografici di grande interesse. Citiamo ad esempio l’Album dei Mille. realizzato nel 1862 dal fotografo genovese Alessandro Pavia, il quale volle celebrare l’impresa garibaldina con un vero e proprio “monumento per immagini”, dedicando sette anni della sua vita a ricercare o realizzare i ritratti di ognuno dei Mille in formato carte de visit. Ne raccolse millenovantadue, e li ordinò alfabeticamente dalla “A” di Giuseppe Cesare Abba alla “Z” di Enrico Zuzzi.
Vi figura una sola donna, Rosalie Montmasson de Annecy, moglie di Francesco Crispi.
L’esemplare dell’album oggi in possesso dell’Archivio fu donato al Comune dallo stesso Garibaldi, in occasione della visita che il generale fece a Palermo nel 1882, sesto centenario della rivoluzione dei Vespri in Sicilia.
E infine, non possiamo non ricordare il corpus di 26 stereoscopie opera del fotografo francese Eugène Sevaistre, che aprì un proprio atelier a Palermo nel 1858. Le stereoscopie (immagini doppie che, viste attraverso uno speciale strumento, lo stereoscopio, danno l’illusione della tridimensionalità) documentano lo stato dei luoghi cittadini durante la Révolution de Palerme (è il titolo originale dell’intera serie), cioè durante i combattimenti tra le truppe garibaldine e quelle borboniche nel maggio-giugno 1860.
Di grande suggestione, le immagini di Sèvaistre, presumibilmente scattate qualche giorno dopo la fine dei bombardamenti e degli scontri, documentano in modo straordinario non tanto la rèvolution, ma il dopo rivoluzione: quel senso di distruzione e desolazione che segue agli scontri armati, alla guerriglia urbana.
Da queste e molte altre testimonianze conservate nell’Archivio storico viene fuori la vita quotidiana della città, con tutte le sue sfaccettature: dalle sanguinose rivolte ai festeggiamenti per ricorrenze particolari; dalle opere pubbliche alla cura del verde; dalle tasse all’ordine pubblico; dalla pulizia delle strade al traffico, quasi che la città di oggi si specchiasse in quella di ieri e viceversa, due facce di una sostanziale identità culturale, a distanza di secoli. Una microstoria che ci restituisce il nostro passato collettivo.
ELIANA CALANDRA
Direttore dell’Archivio storico comunale